Tribunale Latina sez. lav. 17 luglio 2014
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI LATINA
nella persona del Giudice del Lavoro, dr.ssa Corinna Papetti,
all’udienza del 17.07.2014 ha pronunciato, dandone lettura, la
seguente:
SENTENZA
nella causa iscritta al N. R.G. 5262/2009, sul ricorso promosso da:
ALFA, rappresentato e difeso dagli Avv.ti __, giusta procura in atti;
RICORRENTE
CONTRO
BETA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dal Prof. Avv. __, giusta procura in atti;
RESISTENTE
Oggetto: licenziamento
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Parte ricorrente: dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o annullare
il licenziamento irrogato e dichiarare la continuità giuridica del
rapporto di lavoro per cui è causa, tuttora in essere dalla data del
recesso e per l’effetto condannare la società convenuta al pagamento
delle competenze retributive maturate fino alla data della reintegra;
in subordine, applicazione della tutela obbligatoria; con vittoria di
spese, da distrarsi.
Parte resistente: rigetto del ricorso.
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il licenziamento disciplinare intimato al ricorrente deve ritenersi illegittimo, per i motivi che
seguono.
Le contestazioni sulle quali il licenziamento è basato (Cfr. lettera di licenziamento, all. 1 fasc. di
parte resistente e lettere di contestazione disciplinare (all. 2 fasc. di parte convenuta) consistono, in
primis, in mancanze nell’adempimento della prestazione lavorativa, quali essersi intrattenuto
presso bar o ristoranti per intervalli temporali ritenuti eccessivi e non aver effettuato sopralluoghi
o altri incarichi affidati in qualità di Coordinatore della Sicurezza in fase di esecuzione dei lavori.
Indi, viene contestato l’utilizzo dell’auto aziendale anche per fini privati e la consegna di banconote
di taglio non precisato, avvenuta da parte di un terzo nelle mani del ALFA.
I fatti in questione, alla luce degli atti di causa, risultano essere stati conosciuti da parte datoriale
attraverso relazione investigativa di agenzia di investigazione privata.
Deve osservarsi, a tale proposito, la fondatezza della doglianza di parte ricorrente circa
l’inutilizzabilità – per la gran parte, ossia ad eccezione del profilo dell’uso dell’automobile e della
dazione delle banconote – delle risultanze in questione, vertendosi in materia estranea ai c.d.
controlli difensivi e trattandosi, viceversa, di modalità di controllo a distanza del lavoratore
attinenti direttamente all’adempimento della prestazione oggetto del rapporto, come tali
inammissibili ex art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
I controlli consentiti riguardano, infatti, le diverse ipotesi nelle quali le finalità degli stessi
consistano nella protezione dei beni del datore di lavoro, estranei al rapporto lavorativo medesimo.
Si riporta, sul punto, il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui
“In tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall’art. 4, secondo comma,
della legge n. 300 del 1970, espressamente richiamato dall’art. 114 del d.lgs. n. 196 del 2003, per
l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e
produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, dai quali derivi la possibilità di verifica a distanza
dell’attività dei lavoratori, trovano applicazione ai controlli, c.d. difensivi, diretti ad accertare
comportamenti illeciti dei lavoratori, quando, però, tali comportamenti riguardino l’esatto
adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando
riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso. Ne consegue che esula dal campo di
applicazione della norma il caso in cui il datore abbia posto in essere verifiche dirette ad accertare
comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale” (Cfr. Cass.
- 2722/2012); “In tema di controllo a distanza dei lavoratori, il divieto previsto dall’art. 4 dello
statuto dei lavoratori di installazione di impianti audiovisivi od altre apparecchiature per il
controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, riferendosi alle sole installazioni poste in essere dal
datore di lavoro, non preclude a questo, al fine di dimostrare l’illecito posto in essere da propri
dipendenti, di utilizzare le risultanze di registrazioni video operate fuori dall’azienda da un
soggetto terzo, del tutto estraneo all’impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per esclusive
finalità “difensive” del proprio ufficio e della documentazione in esso custodita, con la
conseguenza che tali risultanze sono legittimamente utilizzabili nel processo dal datore di lavoro”
(Cass. n. 2117/2011).
Nella vicenda oggetto della presente controversia, come detto, scopo dei controlli non è stato
quello della difesa del patrimonio della società convenuta – se non per gli aspetti menzionati, su
cui v. infra – ma piuttosto la verifica delle modalità di adempimento delle obbligazioni dedotte nel
rapporto di lavoro, durante l’orario di lavoro medesimo.
Per quanto riguarda, nello specifico, l’episodio della consegna del denaro, deve osservarsi che
questo è rimasto solo genericamente delineato e non presenta, pertanto, un rilievo significativo ai
fini della giustificazione dell’atto risolutivo del rapporto, massima sanzione disciplinare ed
extrema ratio cui ricorrere in sola presenza di condotte rilevanti in sede disciplinare e non
altrimenti governabili.
Sotto altro aspetto, l’utilizzo dell’automobile d’azienda altresì per spostamenti privati -alla luce
della durata del rapporto di lavoro sin dall’epoca del 1.07.2003, ossia da circa 6 anni senza
l’intervento di addebiti disciplinari, nonché del rapporto di lavoro del ricorrente alle dipendenze
del Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci dal 1.10.1982 – non può ritenersi, in ogni caso,
condotta idonea ad essere legittimamente sanzionata con il licenziamento secondo criteri di
proporzionalità.
In merito alle altre condotte, sulle quali – come già evidenziato- le indagini compiute da parte
datoriale a mezzo di investigatore privato non sono utilizzabili, si osserva comunque che, da un
lato per quanto riguarda la durata delle pause pranzo o delle pause caffè la sanzione del
licenziamento non risulta proporzionata e dall’altro, dall’istruttoria espletata al fine di ottenere un
quadro complessivo della controversia i comportamenti contestati con riferimento alla mancata
effettuazione delle attività inerenti agli incarichi non possono ritenersi provati.
L’investigatore escusso come teste (Sig. C.), infatti, non ha potuto ricordare le circostanze con
precisione, soprattutto con riguardo alle date e agli orari (elemento assai rilevante per quanto
riguarda le pause per il pranzo e per il caffè) e, di contro, le dichiarazioni testimoniali acquisite in
merito al metodo di formazione dei verbali degli interventi non forniscono alcun elemento in
merito alla falsità degli stessi (dai quali risultano interventi operati da parte del ALFA), anzi ne
confermano la genuinità.
Il teste B – indicato da parte resistente – ha, infatti, sul punto riferito che in ogni caso il verbale
delle operazioni veniva redatto alla presenza delle persone che lo hanno firmato, precisando: “Di
regola il verbale deve essere fatto il giorno in cui avviene l’accesso al cantiere, poi se viene fatta
una bozza e il giorno dopo magari viene trascritta in bella questo non lo so dire”.
Alla luce di quanto esposto, il licenziamento deve essere ritenuto illegittimo, con conseguente
ordine di reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, incontestato il requisito dimensionale
per l’applicabilità della tutela reale.
Alla parte attrice deve essere, poi, corrisposta la prevista indennità corrispondente alle retribuzioni
maturate dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, previa detrazione
dell’aliunde perceptum, alla luce dell’eccezione spiegata e della percezione dei redditi da lavoro
risultante in atti.
Tali somme ammontano, alla luce dei documenti prodotti da parte ricorrente e del relativo
prospetto da quest’ultima depositato e non specificamene contestato, ad E 34.714,00, dall’anno
2011 al 2014, somme che devono dunque essere detratte dall’ammontare del risarcimento.
Per quanto riguarda gli importi percepiti a titolo di indennità di disoccupazione, questi non sono
detraibili a titolo di aliunde perceptum.
Deve precisarsi che in conformità al consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione
“può considerarsi compensativo del danno arrecato al lavoratore con il licenziamento (quale
aliunde perceptum) non qualsiasi reddito percepito dal medesimo, ma solo quello conseguito
attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa” (Così Cass. n. 2929/2005).
In particolare, osserva la Suprema Corte (Cfr. Cass. n. 6342/2009) sul precipuo tema che ci
occupa: “Per come, infatti, ha reiteratamente precisato questa Suprema Corte, le indennità
previdenziali non possono essere detratte, a titolo di aliunde perceptum, dal risarcimento dovuto al
lavoratore a seguito del licenziamento illegittimo intimato dal datore di lavoro, deponendo in tal
senso sia la diversità dei titoli di erogazione che dei soggetti obbligati (cfr. ad es. Cass. n.
18687/2006; Cass. n. 18137/2006; Cass. n. 2928/2005; Cass. n. 3904/2002). E tale conclusioni
valgono anche per l’indennità di mobilità, che costituisce una indennità (sostitutiva del
trattamento) di disoccupazione, erogata per finalità di assistenza e di solidarietà sociale da un ente
pubblico, che è l’unico legittimato a chiederla in restituzione, e che non può essere vanificata sulla
base del distinto piano del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro, nonostante
l’annullamento dell’atto di recesso, di avvantaggiarsi, quantomeno indirettamente, di misure di
sostegno poste a tutela del lavoratore”. Nello stesso senso, cfr. Cass. n. 10164/2010.
A tutto quanto illustrato consegue l’accoglimento del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Diritto
PQM
P.Q.M.
– dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente;
– ordina alla parte resistente la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro;
– condanna la parte resistente a corrispondere al ricorrente un’indennità pari alle retribuzioni
globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento (25.03.2009) a quello della reintegrazione,
oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, detratta la somma di E 34.714,00;
– condanna la parte resistente al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal
momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione;
– condanna la parte resistente alla refusione delle spese di lite nei confronti della parte ricorrente,
liquidate in complessivi E 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese nella misura del 15%,
IVA e CPA come per legge, con distrazione.
Latina, 17.07.2014